A cura di:

Dott. Francesco Iarrera - Responsabile regionale UOL - AIDAP


Viviamo in un’era in cui l’uomo, ad ogni latitudine, ha imparato a governare il luogo in cui vive. È riconosciuto che l’evoluzione abbia conferito alla nostra specie lo scettro di comandante supremo dei territori e dei mari di questo pianeta. Forse è anche per questo che quando si viene a contatto con una persona che, evidentemente, persiste in comportamenti non salutari, la prima cosa che viene da dirgli è: “ma perché continui a farlo se sai che ti danneggia la salute?”. Ancor più evidente tutto questo è quando l’argomento è il peso, o meglio, la perdita di peso. Tutti a dire mangia meno, impegnati, tutti a tenere alto il vessillo del “volere è potere!”. Ma è davvero cosi? Ma perché mangiamo ciò che mangiamo? Cosa influenza le nostre scelte?

La cultura

Il nostro modo di pensare al cibo caratterizza ciò che mangiamo sin da quando siamo nati. I nostri genitori – quelli che oggi hanno almeno cinquant’anni -, sono cresciuti in un’epoca in cui bisognava pulire il piatto, a volte per guadagnarsi il diritto al dolce, altre perché in un mondo in cui alcuni bambini muoiono per la fame non ci si può permettere di sprecare cibo: bisogna mangiare tutto ciò che ci si trova nel piatto, anche se troppo.

Ai figli si è insegnato che per mangiare il gelato occorreva finire tutti i broccoli, così, nel tentativo di educare alla buona alimentazione, s’insegna che mangiare le verdure è talmente repellente che ci si merita in premio un dolce.

Le morti, le nascite, le malattie così come le guarigioni sono eventi da celebrare e da consolare nel cibo. E le feste religiose, poi, tutte da santificare mangiando. Quando si parla di Natale vengono in mente i panettoni, Pasqua è diventato il passaggio dalle piccole alle grandi uova. Per non parlare di battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, compleanni e anniversari vari: passiamo più tempo a usare il cibo per festeggiare che a mangiare per nutrirci. E via così, di mese in mese, anno dopo anno, in un susseguirsi di giorni e poi anni in cui nel calendario non si registrano più le scadenze ma un costante aumento del peso dei cittadini nel mondo occidentale.

E l’ambiente che ruolo ha?

I ricercatori sostengono che l’ambiente eserciti un ruolo determinate, tanto da attribuirgli gran parte delle responsabilità dell’attuale epidemia di sovrappeso. Le porzioni dei cibi che compriamo oggi sono più grandi di quanto non lo fossero dieci o venti anni fa. Nei ristoranti, nei cinema, nei supermercati tutto è cresciuto, tutto è big. Maxi offerte e micro prezzi, che inducono ad acquistare cibi in contenitori più grandi. E questo incide parecchio nel determinare quanto si mangia, poiché gli uomini tendono a consumare tutto ciò che gli è proposto nel piatto, indipendentemente dal reale bisogno.

Le etichette sono raffinate e attraenti, figlie di chi conosce bene le regole del marketing, così da far valere le leggi del commercio e non quelle della tutela alla salute.

Il cibo è diventato un veicolo di piacere, un vettore di buone emozioni: ci si diverte con il cibo, si gioca, e si fanno trasmissioni di successo. E’ sempre maggiore il numero di ore che le televisioni dedicano a talk e reality a sfondo culinario che ci insegnano come cucinare, ma non a saper mangiare.

Le moderne tecnologie, poi, sembrano incanalate in un’unica direzione: dobbiamo smettere di muoverci. Dal telecomando per tutto alle scale mobili, dagli elettrodomestici alle auto, tutto contribuisce a renderci talmente immobili che, ad un certo punto, spinti dai sensi di colpa, percorriamo chilometri a motori per andare a correre su un tappeto elettrico.

L’evoluzione alimentare

Probabilmente la fame è stata la sola ragione che ha spinto gli uomini primordiali a ricercare e poi mangiare il cibo. Bisognava nutrirsi per procurarsi le energie necessarie a mantenersi in vita, correre, accendere fuochi e costruirsi dei rifugi. Oggi non è più cosi e la fame non è l’unico movente che induce a mangiare.

Le aziende produttrici di cibo insegnano che l’atto di mangiare è legato anche alle caratteristiche organolettiche del cibo a disposizione. Chi produce cibo lo manipola in modo da renderlo più palatabile, tanto che in alcuni casi, proprio, non si riesce a starne alla larga.

La forma, il colore, la grandezza, l’accostamento dei vari ingredienti; oggi esiste una sorta di ingegneria della nutrizione che le studia tutte per indurci a mangiare sempre di più.

Il paradosso delle diete

In questo mondo costruito per farci ingrassare, scoppia il paradosso che manda in tilt milioni di persone: esiste una pressione sociale che impone di essere magri! Ci sforziamo in tutti i modi di privarci del cibo per allinearci alle esigenze estetiche della società occidentale.

E così inizia il valzer delle diete andate a male, le soluzioni miracolo, il salto dei pasti, l’evitamento di cibi considerati ingrassanti e tutta una serie di iniziative che in un primo momento riducono il peso al ribasso e dopo poco tempo, attivando tutta una serie di complessi meccanismi biologici e soprattutto cognitivi, lo fanno recuperare, spesso con gli interessi. Game over. Forse è un po’ strano sentirlo dire, ma l’affermazione secondo cui le diete facciano ingrassare, non è soltanto un ossimoro.

Il peso dello stress

E lo stress? Non possiamo certo pensare che, nell’era in cui lo stress è la risposta buona per le domande cui risposta buona non si trova, non abbia un ruolo nel comportamento alimentare. Ora, la domanda interessante è: quale ruolo? Per qualcuno lo stress fa ingrassare, per altri fa dimagrire. Quando si è stressati, c’è chi cerca il cibo e chi lo rifiuta. E allora? La ricerca ha cercato delle risposte, si è impegnata, ha esplorato, scavato, sperimentato, fino a fornirci una risposta inattesa: con molta probabilità, lo stress non influenza il peso, ma solo i comportamenti delle persone impegnate nel tentativo di modificarlo, indipendentemente che lo si voglia far salire o scendere. Insomma, gli eventi stressanti competono con lo sforzo che ogni persona si riserva di compiere quando decide di cambiare il proprio stile di vita, e non con il peso direttamente.

Mangiatori emotivi o estremisti?

Le emozioni sono un mondo a se, dove non ci sono regole se non quelle legate alle proprie percezioni, che non conoscono regole per definizione. Alcune persone, in preda a forti emozioni, di solito negative, cercano di eluderle ricorrendo ad un calmante naturale e di facile reperimento come il cibo. Questo almeno quanto ci è viene riferito in clinica.

Tuttavia, realmente le emozioni inducono le persone a mangiare di più? Quando di fronte a della cioccolata, s’inizia a mangiarne un quadratino per poi finire tutta la stecca, davvero era l’emozione a spingere a consumarla tutta? Non si può escludere, certo. Eppure, esiste anche un’altra ragione che, pur coinvolgendo aspetti emotivi, ha origini cognitive. Alcune persone sono guidate nella propria vita da uno schema di pensiero estremistico, chiamato “tutto o nulla”, secondo cui ogni cosa deve essere fatta bene altrimenti è meglio non farla. Questo estremismo concettuale, applicato al contesto del controllo alimentare, induce le persone a sviluppare un profondo senso di colpa – e dunque, ecco le emozioni negative – nel momento in cui, questo perfezionistico obiettivo non viene rispettato, quando cioè si rompe la regola alimentare che ci si era posti.

Se consideriamo, inoltre, che “trasgredire” il dogma tutto o nulla non è l’eccezione, bensì la regola, ci si rende conto che provare emozioni negative, quando si è guidati da questo pensiero, è sostanzialmente obbligato.

Quindi, vero è che molte persone percepiscono forte emozioni quando mangiano certi cibi, ma quasi sempre nascono da privazioni alimentari, costanti e continue, la cui trasgressione genera emozioni negative.

Il cibo sopra tutto

Insomma, le ragioni per cui oggi le persone mangiano sono pressoché illimitate: dalle emozioni alle feste, dai premi al sostegno sociale, dallo stress agli stimoli fisici, naturalmente, senza dimenticare i pensieri.

La verità è che la nostra cultura alimentare oggi è confusa, pressata, da un lato, da una cultura che induce ad avere un basso peso e, dall’altra, dall’ambiente che seduce verso l’iperalimentazione. E così, molte persone alternano periodi di dieta forzata a pasti luculliani, in una specie di montagne russe che hanno fatto perdere il senso del misurato equilibrio.

L’evoluzione umana degli ultimi cento anni ha proiettato l’uomo moderno in un mondo totalmente sconosciuto ai nostri geni, ritrovatisi a dover contrastare un cambiamento ambientale che ha stravolto tutto ciò che avevano imparato in migliaia di anni. Si è passati, troppo in fretta, da una famelica e fisiologica, ricerca di cibo, all’ossessivo bisogno di trovare soluzioni che consentano di rifiutarlo. E la verità è che forse non eravamo pronti. I nostri geni non si sono ancora adattati a questa schizofrenia alimentare, e da quel che sembra in questa lotta fra bene e male, almeno per ora, a vincere è sempre il cibo e chi lo produce in forme, colori e sapori sempre più accattivanti. Mangiamo, mangiamo e mangiamo. E non ci muoviamo praticamente più.

Se non vogliamo rassegnarci a questa ineluttabile deriva che ci renderà malati di obesità dovremo impegnarci a trovare rimedi validi ed efficaci, che forniscano un equilibrio alimentare in cui si mangiano nutrienti e non emozioni, stress, pensieri e relazioni finite.

In fondo, se osserviamo cinicamente la questione, non è nemmeno così complicato: basterebbe amare con le carezze, essere tristi e piangere, felici e ridere, festeggiare ballando, essere arrabbiati urlando, stressati e fare un bagno caldo. Naturalmente avere fame e mangiare. Ecco, basterebbe mettere le cose al proprio posto, come in quei giochi enigmistici in cui bisogna unire con una linea due vocaboli considerati inerenti l’uno all’altro. La realtà ci insegna che non è così semplice, visti i numeri che indicano il sovrappeso-obesità come una vera e propria epidemia mondiale.

Le soluzioni

Per gestire il peso bisogna imparare ad adattarsi all’ambiente in cui viviamo, alla cultura, alle usanze e le credenze, apportando opportuni cambiamenti ambiziosi ma realistici, che possano diventare parte della nostra quotidianità, piuttosto che avere la presunzione di stravolgerla. Ecco, questo potrebbe essere un buon punto di partenza, una base su cui poggiare le nostre prospettive speranze di sviluppare un buon controllo sul peso.

Certamente sarebbe più utile stare alla larga dal pensare tutto o nulla. In una nostra ricerca che ha coinvolto i pazienti afferenti al nostro centro, abbiamo osservato che circa l’ottanta per cento dei pazienti che interrompevano la terapia senza successo, erano caratterizzati da questo schema di pensiero. Chi ha avuto a che fare con persone a dieta avrà certamente sentito frasi del tipo “la dieta si fa bene, altrimenti è meglio non farla”. E qui, di solito, cala il sipario. Semplicemente perché non è realistico, non si può riuscire a restare coerenti con quel pensiero. E non si tratta di bassa motivazione, di assenza di volontà, né, tantomeno, di poco valore come persona: semplicemente è sbagliato pensare in questo modo, poiché contro natura. Non si può non sbagliare. Non si può smettere di mangiare i cibi che si amano, non si può rifiutare tutti gli inviti di amici e parenti. Si tratta di apprendere nuove e più realistiche abilità che prevedano moderazione e non divieti, scelte sostenibili e non privazioni assolute.

Ancora, è necessario apprendere specifiche tecniche utili a gestire l’ambiente obesiogeno. Piatti, bicchieri e confezioni più grandi ci hanno allontanato dalle dimensioni consigliate di cibo utili a vivere bene in salute. Compriamo big dosi di tutto, entusiasti per il risparmio, ma alla fine mangiamo tutto quello che compriamo, che è più di quanto serva. E così, aumentiamo di peso, dobbiamo comprare vestiti più grandi, curare i problemi alle ginocchia e consultare un nutrizionista. E questo costa molti soldi. Comprare quanto serve mangiarne, questo è il vero risparmio.

Non saltare la colazione. Molte ricerche si sono occupate di questo aspetto. E ci sono pochi dubbi sull’importanza della colazione nel controllo del peso. Le ragioni? Fare colazione è in grado di ridurre le voglie nei vari spuntini e riduce la fame ai pasti principali.

Gli strumenti

E’ necessario che chi ha un problema di peso sia in grado di riconoscere quali sono le ragioni che inducono a consumare cibo, così da sviluppare un piano di difesa personalizzato.

Per risolvere un problema occorre averne coscienza. E conoscenza. La soluzione migliore è purtroppo un po’ indigesta ai pazienti e si chiama scheda di monitoraggio alimentare. Uno strumento che, se ben utilizzato, aiuta a comprendere cosa accade, come ci si sente, cosa si pensa e in che situazione ci si trova, nel momento in cui si mangia.

E a quel punto? Tanti problemi, altrettante soluzioni. Questo dovrebbe essere il motto che accompagna un programma per la perdita di peso. Imparare a usare la tecnica del “problem solving” può essere la giusta strada per personalizzare davvero un programma di dimagrimento. Magari iniziando dalle cose che accadono più di frequente.

Una volta identificati i meccanismi attivanti è necessario concedersi il tempo necessario al cambiamento, iniziando un passo alla volta. Non è importante ciò che si deve fare, ma ciò che la persona pensa di poter fare. Solo dopo che un cambiamento è diventato una consuetudine nella routine quotidiana si dovrebbe puntare ad un altro.

Anche il mangiare emotivo è "curabile", malgrado necessiti un lavoro specifico e focalizzato, con tecniche e strategie del tutto dedicate.

Smettere di sentirsi in colpa: il senso di colpa induce le persone a nascondersi, e sfuggire dal proprio problema. Questo non serve. Chi ha un problema di peso non è colpevole ma vittima di un complesso meccanismo che sembra creato apposta per indurre le persone ad ingrassare.

Infine, eliminiamo la famigerata parola "dieta". Certo, lo sappiamo bene, lo abbiamo sentito tante volte. Il termine dieta non significa privazione, rinuncia, fatica, sacrifici. Il termine dieta deriva dal greco e significa “modo di vivere”. Questo, ciò che viene ribadito ad ogni occasione, di solito, da chi le diete le propone. Ma il punto non è determinare il valore etimologico del vocabolo, bensì conoscere cosa rappresenti nell’immaginario di una persona quando si rivolge ad uno specialista per perdere peso. Ebbene, si tratta un progetto a termine, che di norma, implica una scadenza, come uno yogurt. L’idea stessa di mettersi a dieta, dà in partenza una idea sbagliata di ciò che dovrebbe accadere nella vita, ossia modificare la propria relazione con il cibo, finalizzandola ai valori che riteniamo più importanti, e che spesso, senza accorgersene vengono sabotati dal cattivo utilizzo che facciamo del cibo.

In conclusione

Certo, chi avrà avuto la pazienza di leggere fino in fondo avrà capito che in gioco c’è ben più di ricevere un consiglio dopo averlo richiesto, fiduciosi che questa sia la volta buona. Affatto. Le persone sbagliano quando pensano di aver trovato, finalmente, il terapeuta giusto: “il dottore è bravo, lui sa cosa è meglio per me”. E sbagliamo anche noi terapeuti quando crediamo di poter guarire i nostri pazienti. In realtà deve cambiare totalmente l’approccio con la persona. Bisogna che chi ha il problema sia coinvolto nel cambiamento, protagonista nelle decisioni. Non basta dire alle persone come devono comportarsi, occorre che credano di poterlo fare, dopo averlo considerato importante per se. Agire in simbiosi con la persona che chiede aiuto, accettandone le difficoltà, considerandola, genuinamente, parte del cambiamento, non una persona da cambiare.

Relazione, motivazione e pensieri, tutti assieme a stimolare nuovi e più funzionali comportamenti, così che la perdita di peso non sia un obiettivo ma un nuovo modo di vivere la vita.

In breve: modificazione dello stile di vita ed anche del modo di interpretarla.