Dott. Francesco Iarrera - Responsabile UOL AIDAP Oliveri, Referente Regionale AIDAP SICILIA


La dieta è una parola breve e leggera. Dalla filosofia alla sociologia, le inventiamo tutte pur di renderne dolce il senso.

Come quando sentiamo criticare una persona cui vogliamo bene ma che difendiamo ad ogni costo: “Dieta significa mangiare bene, mica è una privazione!”, oppure, “Bisogna mangiare bene, il cibo è un piacere”. Che significa tutto, e dunque non significa niente.

Tutto cambia se appartieni al 49% di persone che per diverse ragioni, nell’ultimo anno, ne ha ricevuta una da seguire. Ansia, frustrazione e successivamente senso di impotenza, sono le emozioni provate. Viene in mente la faccia di Fantozzi quando la signorina Silvani gli mette sulla scrivania una montagna di faldoni da sbrigare.

Eppure i ricercatori concordano che la dieta non funziona.

E qui inizia la confusione: la dieta, considerata inutile dalla scienza, continua ad essere lo strumento più utilizzato per affrontare l’emergenza peso. Perchè?

Dipende dai criteri che usiamo per giudicare la validità di una terapia dimagrante. Se ne misuriamo l’efficacia dalla capacità di far ridurre il peso, ogni terapia funziona bene. Perdere dieci chili non è così complicato. Basta mangiare meno e il gioco è fatto: “Sta funzionando”.

Ma la questione è più complicata. Perdere peso è importante, ma non è l’unica cosa conta. Il vero successo di un programma si misura dal mantenimento del peso nel tempo. 

Se per perdere peso basta fare un po’ di “qualunque dieta”, per mantenerlo è necessario puntare al cambiamento. Le persone che restano magre sono quelle che imparano a pensare ed agire da magri. Si tratta di modificare il software nella propria mente, così che possa funzionare in maniera diversa.

Le diete non possono funzionare perché non riescono ad incidere sul cambiamento. Nessuna dieta si avvicina nemmeno lontanamente a questo obiettivo.

Per avere successo e migliorare il proprio peso, occorre puntare a cambiamenti nelle abitudini alimentari e di attività fisica che siano sostenibili. La parola chiave è “sostenibilità”: obiettivi che è possibile mantenere anche in futuro, non solo i primi due mesi. 

Qualche giorno fa una signora mi spiegava le sue intenzioni di staccare il cellulare e rifiutare ogni contatto esterno: aveva deciso di rinchiudersi in una clausura nutrizionale. “Dottore, da oggi mi dedicherò solo alla dieta”. Ecco, questo è un esempio di un comportamento non sostenibile. Non è possibile che negli anni successivi si continui ad evitare compleanni, inviti e cene sociali.

Al contrario, la teoria del cambiamento sostenibile prevede che si accettino le situazioni sociali a rischio di mangiare troppo. Bisogna solo imparare a comportarsi diversamente da come si sarebbe fatto nella stessa situazione, nei mesi precedenti. Ad esempio se la signora in questione volesse applicare dei cambiamenti sostenibili, potrebbe:

  1. Decidere di assaggiare tutto e ridurre la porzione
  2. Scegliere di mangiare solo i cibi più appetitosi
Perché i pazienti possano diventare esperti ed apprendere le tecniche più efficaci a favorire il mantenimento del peso nel tempo, è necessario che i programmi affrontino questi argomenti sin dai primi incontri. Per sviluppare una mentalità dimagrante, capace di trascinare le persone a cambiare, occorrono 16 settimane di lavoro ben fatto e un buon programma di modificazione dello stile di vita.

 

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