A cura di:

Dott. Francesco Iarrera - Responsabile regionale UOL - AIDAP


Entri in palestra e vedi una ragazza, magrissima, madida di sudore, intenta a pestare con vigore sul tappeto mobile, come se stesse rincorrendo l’occasione della vita. L’istruttore, soddisfatto, la indica come esempio da seguire, come riferimento di abnegazione e costanza; tutti gli ingredienti necessari a ottenere “il risultato”.

È davvero cosi? Qual è il confine che divide il piacere dall’obbligo, la tenacia dall’ossessione? Dove si trova il limite che stabilisce la differenza tra una attività salutare e un comportamento malato?

Quando l’attività fisica è un problema

I disturbi dell’alimentazione sono patologie caratterizzate da un sistema di valutazione personale basato sul peso e sulla forma corpo e sulla capacità di seguire una dieta “rigida”. Chi si ammala di questi disturbi pone al centro della vita il proprio peso e il proprio corpo. Il resto, quasi, non conta più.
Uno dei meccanismi implicati in questo sistema di valutazione è una particolare forma di attività fisica, caratterizzata da due aspetti: la compulsione e l’eccesso. Chi ne è affetto percepisce una spinta interiore che li obbliga a svolgere una vigorosa attività, senza saltare la seduta di allenamento, per nessuna ragione. L’appuntamento in palestra viene prima di tutto il resto. Saltare una sola seduta significa frustrazione e tristezza, così intensa da produrre profonde emozioni di rabbia e delusione.

Le caratteristiche

Si tratta di ragazze estremamente preoccupate per la propria magrezza, e per questo tendono a ridurre il proprio apporto calorico con il cibo e aumentare il dispendio in palestra. Di norma, sono persone che eccedono in intensità, numero e durata degli esercizi prescritti dall’istruttore. A guardarle da fuori, sembrano condurre una battaglia interiore in cui vittoria o sconfitta dipendono dal superare i propri limiti. Limiti che si spostano, costantemente, in avanti. Così, dieci ripetizioni diventano dodici e poi quindici. A volte, seguono più lezioni, anche molto impegnative, nella stessa giornata. Passano dalla corsa in strada alla seduta Fitbox, dalla cyclette al Crossfit, senza alcun problema.
Naturalmente non basta vedere persone molto impegnate in palestra per poterne definire uno stato patologico. L’allarme deve scattare quando la seduta di allenamento diventa prevaricante rispetto agli altri ambiti della vita. Le conversazioni sono orientate a temi che riguardano il peso e la forma del corpo; il lavoro, le attività ricreative e persino gli affetti, sono posti in secondo piano. La priorità va all’appuntamento con la palestra e al rispetto di precise, ferree, regole alimentari.

Quali sono i segnali d’allarme

Esistono chiari segnali, che possono far sospettare alla presenza di un problema. Un trainer attento deve imparare a cogliere e riconoscere questi segnali.
Di norma, si tratta di persone che interagiscono poco con gli altri utenti; abbassano la testa sugli attrezzi e non parlano con nessuno. L’allenamento appare come una missione, piuttosto che uno svago.
Hanno tra 16-25 anni, (anche se sempre più frequentemente riguardano persone, prima o dopo di questa età), e sono terrorizzate dall’idea di ingrassare. Fanno spesso riferimento al “sentirsi gonfi”. Se le incontrate a cena, noterete che le loro porzioni sono molto piccole. Tendono a eliminare alimenti o intere categorie alimentari, spesso i carboidrati. Al contrario, prediligono carni bianche, pesce e yogurt. Alcune bevono grandi quantità di acqua o, al contrario, la evitano del tutto. Sempre più frequentemente fanno ricorso a prodotti fitoterapici, con caratteristiche drenanti, sgonfianti o snellenti. Non è raro l’utilizzo di pericolosi farmaci diuretici. Mostrano una tenacia e una costanza invidiabile e invidiata. L’allenamento è di una intensità quasi disperata, le sedute sono più lunghe del normale, spesso doppie, specie in prossimità delle feste o dopo una serata in pizzeria. Talvolta i risultati appaiono sorprendenti: perdono e recuperano tanto peso, molto rapidamente. In tutti i casi, qualunque sia il risultato ottenuto, saranno insoddisfatte. Percepiscono la propria immagine corporea sempre negativa. Cercano conferme sulla loro forma del corpo, in un continuo scrutarsi nello specchio o chiedendo ad altre persone.
Possono mostrare dei cambiamenti caratteriali, con reazioni di impazienza e di irritabilità, che sembrano eccessive e fuori luogo. A volte appaiono giù di morale, quasi depresse. Se hanno saltato una lezione, vi chiederanno, molto probabilmente, come e quando recuperarla. Se la relazione è abbastanza solida con il trainer, potrebbero raccontare che proseguono la loro attività fisica in posti anomali e inusuali, come i treni, le scale o camera da letto.

Il ruolo del trainer

Fatta salva la consapevolezza che un centro per il fitness non è una clinica specialistica, è necessario che il trainer intervenga, impedendo che la persona sfinisca la propria vita sotto un bilanciere o sopra un tappeto.
Come prima cosa, è necessario che non siano forniti programmi alimentari di nessun genere. Specialmente se la persona in questione è adolescente e/o sovrappeso. Consigliare una dieta aumenta di 8 volte il rischio di sviluppare un disturbo alimentare, indipendentemente dal fatto che la dieta sia corretta o no. Un buon personal trainer fa riferimento all’importanza di una alimentazione varia e bilanciata, senza mai entrare nello specifico.
È importante che non faccia riferimento al peso e alla forma del corpo, ma sostenga la relazione esistente fra attività fisica e benessere psicofisico. L’enfasi deve andare alla salute e al divertimento.
Chi ha un Disturbo Alimentare o lo sta sviluppando è molto sensibile e si sente sovente incompreso: “Non mi capisce nessuno!”. Tale atteggiamento di chiusura è ancor più acuito da un approccio direttivo, teso a risolvere il problema nell’immediato, magari fornendo un consiglio: “Mangia di più”, “Riduci le proteine”, “Allenati di meno”. Un simile approccio va evitato, poiché può aggravare il problema. Al contrario, è consigliabile che un istruttore tenti di ascoltare il proprio utente, mostrando interesse e preoccupazione per il suo umore, la mancanza di serenità, o il modo in cui si esercita. In nessun caso bisogna fare riferimento al peso. Ad una persona con questi problemi, dire che il peso è sceso troppo, significa dare conferma che ciò che sta facendo è corretto.
È frequente che queste persone chiedano aiuto agli istruttori, per ottenere schede diverse e più “efficaci”. Quando ciò accade, il personal trainer deve intervenire e fornire, con delicata fermezza, informazioni fisiologiche sull’inopportunità di sottoporsi a determinati esercizi.
Certamente, l’atteggiamento di un istruttore non elimina la possibilità di sviluppare questi disturbi, ma di certo ne riduce il rischio. Si tratta di una condotta che elimina l’atteggiamento di complicità da parte di trainer, che spesso accompagna i comportamenti di queste persone, contribuendone alla cronicizzazione.
E non è poco, se si considera che tanto più rapidamente viene posta diagnosi tanto più è probabile una guarigione completa.